Se ne è parlato talmente tanto, e troppo spesso a sproposito riguardo l’arte del Jeet Kune Do, che non credo negli anni futuri si giunga ad una chiarezza e ad un accordo tra i vari praticanti riguardo la tanto chiacchierata arte marziale.
I motivi li ho già esposti in altri contesti e nei miei 2 libri sul Jeet Kune Do, quindi non starò qui a ripetermi.
Espongo il mio punto di vista da un’altra prospettiva, e so che il lettore intelligente capirà tra le righe.
Il Jeet Kune Do è un’arte che concettualmente affonda le sue radici nello zen, vi è quindi, come nella vita di tutti i giorni, l’aspetto fisico e quello mentale.
Mente e corpo debbono essere un tutt’uno.
Eppure la stragrande maggioranza dei praticanti di JKD a qualsiasi livello, si dedica solamente alla parte pratica, tecnica e fisica.
Quante scuole o quanti istruttori avete visto parlare o insegnare la filosofia nei propri corsi o nelle proprie scuole di JKD? Eppure gli insegnamenti del fondatore del Jeet Kune Do erano basati sull’applicazione della filosofia all’interno della pratica.
Il principio dell’adattabilità, dell’acqua, del colpo senza intenzione, il concetto di arte senz’arte, o arte dell’anima, o l’atteggiamento di non mente, o non azione, sono pietre miliari dell’arte del Jeet Kune Do.
Come mai non si insegnano? Come mai viene esposta solo la parte pratico/tecnica e non l’importante aspetto mentale?
Dal mio punto di vista ci sono diversi motivi, alcuni di questi eccoli:
- Non essendo stato divulgato molto questo aspetto, la maggior parte dei praticanti lo ignora.
- I praticanti pensano che la filosofia di Bruce Lee, non è fondamentale che sia unita alla pratica, eppure Bruce Lee considerava il JKD, filosofia in movimento.
- E’ difficile insegnare la filosofia e potrebbe essere un’argomento di interesse da parte di pochi, infatti Bruce Lee sosteneva che il JKD era un’arte per una persona ogni 10.000, semplicemente perchè non tutti potevano essere pronti a comprendere la sua filosofia.
- Essendo la parte estetica, la cosa più facilmente apprezzabile, o l’aspetto più gratificante per il praticante medio, la filosofia viene ignorata.
Eppure il JKD, il cerchio senza circonferenza, il Jeet Kune Do che a detta di Bruce Lee è soltanto un nome, senza la sua filosofia perde quel fascino, ma ancor di più, perde l’essenza del lavoro portato avanti da Lee, e che ben presto gli ha fatto pensare che la sua arte sarebbe stata fraintesa.
Se il JKD è un’arte per lo sviluppo e la cresciata personale, come può essere praticato solo nell’aspetto di pugni e calci?
Se i principi e la mentalità del JKD sono applicabili, non solo al combattimento e all’apprendimento dell’arte marziale, ma anche nella vita comune di tutti i giorni, perchè gli istruttori e i praticanti continuano ad ignorare questo aspetto così importante?
L’equilibrio mentale e fisico che il cultore del JKD deve avere in combattimento, dovrebbe averlo anche nella vita quotidiana di tutti i giorni, così il principio di adattabilità dell’acqua, il concetto di non attaccamento, o del vivere qui e ora, non solo nel combattimento, ma anche nella vita in generale.
Il non porci nessun limite come limite, e non avere nessuna via come via, applicato all’arte e alla vita quotidiana. Se si comprendesse tutto ciò, allora avrebbe senso il lavoro di Lee, allora ci sarebbe lo sviluppo personale, allora si potrebbe far parte di quel 1 ogni 10.000 di cui parlava Bruce Lee.
E invece no, vediamo solo uno studio paraziale e frammentario dell’arte, vediamo competizioni tra praticanti, il cerchio ha una netta circonferenza e l’arte che è soltanto un nome, diventa un’arte con sempre più nomi, e soprattutto senza il fondamentale aspetto mentale e filosofico che ha caratterizzato la tanto incompresa arte del piccolo drago, Sijo Bruce Lee.
GIN LAI.
Sifu Enrico Abbruciati